I.
Forse,
quando tu mi chiuderai gli occhi,
invertendo
il gesto che ogni sera compio,
sacerdote della nostra intimità,
accarezzandoti
e
vegliando su di te
forse
trarrai a te
i fili del tessuto
sul telaio che ti lascerò.
Che sia arazzo
o massa confusa
non saprei dire;
molti fili ti lascio
come le cose che ho pensato,
le possibilità prefigurate,
i mondi distanti
e i viaggi,
pur vivendo una vita.
Non in ricerca perenne,
ma perché nel mondo
ho voluto
vedere oltre
il mio piccolo orizzonte.
II.
Il momento giunge
nella vita
in cui si pretende
d'essere
profeti e saggi:
non per contenuto,
ma almeno nella forma.
Ci si veste di abiti lisi
per significare
la propria ipotetica
esperienza
e si scrivono
sentenze apodittiche.
Questo so:
il mio lascito
non saranno
principi sintetici
o una tavola domestica,
ma la polvere
che ho sollevato
camminando per strada.
Se ho percorso molte vie
non l'ho fatto
come eterno adolescente
o come chi,
inquieto,
cerca senza mai trovare.
Ho camminato
seguendo una mappa,
studiando antichi scritti,
guardano il cielo e le stelle,
come un esploratore
mosso da una piccola
indelebile
certezza:
il Mistero
risiede nel fatto che Qualcosa
vi sia
e non il Nulla.
III.
Alla massa indefinita
piace
chi danza sul baratro del Nulla:
lo scrosciante applauso
tributato
a coloro
che alzano la voce
contro il cielo
proclamando morti celebri
(Gott ist tot! Gott bleibt tot!)
è misura
del vuoto.
Sappi questo:
richiede più coraggio
affermare
l'Essere
e il Qualcosa
vivere nascosto dagli sguardi
seguendo la Vocazione.
IV.
Ogni giorno che passa
sento il peso
d'essere come non vorrei.
Chi, mi domando,
chi guardando
il cielo puro
dei tuoi occhi
non vorrebbe essere
un uomo differente?
Il tuo abbraccio
è come la grazia di Dio.
Mi riconsegna
al dono,
non al merito.
Solo su questo suolo
dove le piante brulicano di vita
per una Parola creatrice
il peso
diventa
vincolo leggero:
camminare con te
liberati dal superfluo,
verso la nostra Destinazione.
Jonathan Simone Benatti - 13/02/2023