lunedì 13 febbraio 2023

Sinfonietta del padre pensoso

I.
 
Forse,
quando tu mi chiuderai gli occhi,
invertendo 
il gesto che ogni sera compio,
sacerdote della nostra intimità,
accarezzandoti
e
vegliando su di te

forse
trarrai a te 
i fili del tessuto
sul telaio che ti lascerò.

Che sia arazzo
o massa confusa
non saprei dire;
molti fili ti lascio
come le cose che ho pensato,
le possibilità prefigurate,
i mondi distanti 
e i viaggi,
pur vivendo una vita.

Non in ricerca perenne,
ma perché nel mondo
ho voluto
vedere oltre 
il mio piccolo orizzonte.

II.

Il momento giunge
nella vita
in cui si pretende
d'essere
profeti e saggi:
non per contenuto,
ma almeno nella forma.

Ci si veste di abiti lisi
per significare
la propria ipotetica
esperienza
e si scrivono
sentenze apodittiche.

Questo so:
il mio lascito
non saranno
principi sintetici
o una tavola domestica,
ma la polvere
che ho sollevato
camminando per strada.

Se ho percorso molte vie
non l'ho fatto
come eterno adolescente
o come chi, 
inquieto,
cerca senza mai trovare.
Ho camminato
seguendo una mappa,
studiando antichi scritti,
guardano il cielo e le stelle,
come un esploratore
mosso da una piccola
indelebile
certezza:
il Mistero
risiede nel fatto che Qualcosa 
vi sia
e non il Nulla.

III.

Alla massa indefinita
piace
chi danza sul baratro del Nulla:
lo scrosciante applauso
tributato 
a coloro
che alzano la voce 
contro il cielo
proclamando morti celebri
(Gott ist tot! Gott bleibt tot!)

è misura
del vuoto.


Sappi questo:
richiede più coraggio

affermare
l'Essere 
e il Qualcosa

vivere nascosto dagli sguardi
seguendo la Vocazione.

IV.

Ogni giorno che passa
sento il peso
d'essere come non vorrei.

Chi, mi domando,
chi guardando
il cielo puro
dei tuoi occhi
non vorrebbe essere
un uomo differente?

Il tuo abbraccio
è come la grazia di Dio.

Mi riconsegna
al dono,
non al merito.

Solo su questo suolo
dove le piante brulicano di vita
per una Parola creatrice

il peso
diventa
vincolo leggero:

camminare con te
liberati dal superfluo,
verso la nostra Destinazione.

Jonathan Simone Benatti - 13/02/2023















venerdì 10 febbraio 2023

Torno spesso

Torno spesso
a riflettere su soggetti
impopolari.

(Non so nemmeno
se scrivere sia
poesia,
diario
o semplice vezzo -
voglio lasciare traccia
di me
per me,
per non perdermi)

Quando la sera
stringo mio figlio
e insieme ci addormentiamo,
nella serie convergente
di gesti ripetitivi
e rassicuranti
presagisco
che il mio odio 
e la mia paura
verso la morte
risiedono nel fatto che lei 
tenti di privare
l'Essere dalla Relazione.

Non gioco all'autolesionismo:
ho imparato a soffiare
come il vento
via
le nubi.

In questo mondo
la Bellezza
convive 
con l'opposto:
per ogni sorriso,
una lacrima
(e viceversa). 

Nonostante tutto
la flebile testimonianza
di ciò che per qualche istante
mi colma all'eccedenza
reca una parola dal futuro:
la Possibilità
di Esser-ci
fuori dal tempo
e dal decadimento.

Jonathan Simone Benatti - 10/02/2023





martedì 7 febbraio 2023

All'alba, prima di lavorare

Cambiare è necessario
per adattarsi
al reale;
d'altro canto
ho bisogno
che permanga
il nucleo dell'essere.

Per questo,
prima di iniziare
la consuetudine dei gesti lavorativi
(il peso di un uomo
è trovare significato
nella fatica)
mi fermo
e sporco le scarpe di sabbia.

Le dune sono alte,
per impedire al mare
di erompere;
come mio figlio,
affascinato da questi cumuli
scalo le sabbie
per vedere
oltre.

E' freddo:
(l'aria, il suolo,
le pareti delle cabine).

E' tutto accogliente. 

Le nuvole in cielo 
si schiacciano sull'orizzonte
e formano una strada
tra acque inferiori e acque superiori
(giorno due della creazione).
Sorge il grande luminare:
per ogni secondo che avverto passare
i colori mutano
e così le forme.


Ho domande,
ho domande.
Un terremoto
e tutta questa bellezza:
perché?

La creazione geme ed è in travaglio.

Lo sono anche io,
nell'attesa del giorno
in cui avrò memoria
dell'orrore,
ma non più esperienza.
Anche io gemo,
mentre prego
parole d'una lingua 
inesprimibile.

Sento il peso di questa gloria
contraddittoria
che si cela
e si rivela.
Sento il peso del linguaggio:
delle persone che tutto riducono a incessante pellegrinaggio
senza ardere del desiderio di una casa;
e delle persone che tutto incatenano alla parete
delle loro spiegazioni.

In questo istante però,
dimentico d'essere soggetto alla gravità
e, come se Isaia fosse stato esaudito,
scorgo lo squarcio
da cui si manifesta
la Presenza.

Tutto è Rivelazione
in qualche modo.

E se, smarrito negli eventi,
domando,
so che la Parola
si fa carne fragile
anche oggi
sub contraria specie.

Jonathan Simone Benatti - 07/02/2023 





Tutte le mie vie - Prolegomena ad ogni passo futuro

Ti sono note tutte le mie vie (Salmo 139:3) I. Imparare ad essere leggeri pur con le zavorre. II. Tanti sono gli abissi che la mia nave solc...