Il pannolino appena cambiato,
la rassicurante poppata
e poi la consolidata consuetudine.
Il tuo corpo,
proporzionato nella sue contenute dimensioni,
si accoccola:
ti spingi verso me,
inconsciamente
(non so ancora
se tu cerchi rifugio in me
o io in te).
Dormi.
Io no.
Guardo fuori -
le figure che la flebile luce
lascia intravedere -
guardo il soffitto spoglio.
Provo pena e mi sento responsabile
di un mondo che comprendo sempre meno
(ho gli occhi del colore
del disincanto -
la mia iride era una volta azzurra di stupore).
Tu vedi la realtà:
la scoperta incessante
e un' appropriazione di spazio
ampio,
inesplorato
(l'altro giorno un asinello
ti ha fatto ridere sonoramente
e io mi sono ricordato
che esiste l'essere felici
senza causa).
Scorgo sul soffitto
le immagini lette su qualche quotidiano:
un ghiacciaio sciolto (uno dei tanti),
spari e morte,
follia,
stagioni scompigliate (aridità e uragano),
parole private del loro significato
(svendute sul mercato al miglior offerente):
il testamento di una generazione ad un'altra -
debito.
Strozzata,
come i pensieri che non si vogliono pensare,
una domanda:
cosa è l'essere umano,
chi sarò io per te?
05/07/2022 - Jonathan Simone Benatti
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