Quando mi abbracci
generi me nuovamente.
Torno bambino
e provo
per un attimo
divertimento innocente
gioia della ripetitività
sorridere a una smorfia.
Quando mi abbracci
generi me nuovamente.
Torno bambino
e provo
per un attimo
pianto irrefrenabile
sconforto improvviso
protesta contro il sonno
(perché c'è tanto da vivere).
Quando mi abbracci
generi me nuovamente.
Torno bambino e
provo vergogna.
Ho scambiato il diventare
adulto e maturo
con la perdita d'incanto.
Ho perso il fascino di osservare
gli ombrelli colorati
nella pioggia,
l'entusiasmo per le mongolfiere
e per tutto ciò che vola,
ho lasciato un vocabolario semplice
(sole, foglia, mare, cielo)
per capziose espressioni misurate;
ho perso tutto questo
barattandolo con la spiegazione
e il definire.
Soprattutto,
quando mi abbracci,
sono mio padre e mia madre che mi abbracciano
di nuovo
perché,
è un mistero che mi affascina,
c'è una traccia di vita che ci lega
e ci tieni uniti
nelle generazioni.
Quando mi abbracci
generi me per la prima volta:
non conosco più ciò che ti precedeva
e la mia storia,
come quella dell'umanità,
si divide all'anno zero;
e la mia storia,
come quella di un profeta,
affonda le radici nel passato,
si protende verso il futuro di promessa.
Quando mi abbracci
accadono tante cose,
che non mi so spiegare,
che non mi so spiegare.
Ma, forse il senso è proprio questo
e c'è una lezione più profonda:
Il mistero invita, luminoso.
O voi tutti che siete assetati, venite.
Jonathan Simone Benatti - 28/11/2023
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